I
“QUADERNI NERI” DI MARTIN HEIDEGGER
(a
proposito del libro di Donatella Di Cesare, Heidegger e gli ebrei. I "Quaderni neri", Bollati Boringhieri, 2015)
Nel mese di maggio, al Salone internazionale del
libro di Torino, ho avuto occasione di ascoltare Donatella Di Cesare che ha
parlato del filosofo Martin Heidegger, del quale sono stati pubblicati in
Germania lo scorso anno i Quaderni neri, che dovrebbero in autunno uscire
anche nella traduzione italiana. Mi ha colpito il fatto che fosse scortata da
due guardie del corpo che facevano barriera tra lei e il pubblico. Nel mese di
luglio avrebbe dovuto parlare anche presso il castello di Iseo, appuntamento al
quale mi sono presentato, ma, con rammarico, ho scoperto che la relatrice aveva
dato forfait per motivi di sicurezza. Ricercando in Internet le ragioni di tali
misure, sono venuto a sapere che le sue prese di posizione, avvenute fra
l’altro tramite vari interventi pubblicati sull’inserto “La lettura” del
Corriere della sera domenicale e, soprattutto, attraverso il libro scritto per
la Bollati Boringhieri, intitolato Heidegger e gli ebrei. I "Quaderni neri”, è
stata presa di mira da esponenti di estrema destra e sottoposta a minacce. Va ricordato,
inoltre, che D. Di Cesare, che insegna Filosofia teoretica alla Sapienza di
Roma, è stata allieva di H. G. Gadamer, allievo a sua volta di M. Heidegger; si
occupa di filosofia ebraica, su cui ha scritto vari volumi; recentemente, esattamente all’inizio di quest’anno, si è dimessa da vicepresidente della “Martin Heidegger-Gesellschaft“, istituzione che si occupa della valorizzazione del pensiero di Heidegger,
in seguito alle posizioni di chiusura assunte dal
suo comitato direttivo dopo la pubblicazione dei Quaderni Neri e le
polemiche che sono scaturite.
D. Di Cesare, come spiega nel suo libro dedicato ai Quaderni neri, rifiuta sia la posizione di chi liquida Heidegger in quanto
considera il suo pensiero (sia quello espresso in Essere e tempo sia quello
successivo alla cosiddetta “svolta”) intrinsecamente reazionario (come Adorno e, più
recentemente, Farìas e Faye), sia quella di chi vorrebbe addomesticarlo,
considerando la sua adesione al nazismo e scritti come i “Quaderni Neri” rispettivamente
come una parentesi e un’opera marginale, che non inciderebbero sulla sostanza
del suo pensiero.
Né accetta l’interpretazione di H. Arendt che lo
considera incompetente da un punto di vista politico e, di conseguenza, separa
la sua adesione al nazismo dalla sua opera filosofica. Viceversa i Quaderni
neri evidenziano come la posizione politica di H., che, pur avendo un suo
sviluppo interno (dall’illusione di poter divenire la guida spirituale del
nazismo è passato ad un certo distacco dalla linea tecnicistica assunta via via dal
nazionalsocialismo; non si tratta, comunque, di un vero e radicale strappo, se
ancora nel 1941 elogia il discorso di Hitler del 22 giugno 1941 col quale
annuncia l’attacco all’Urss, un documento che “i tempi a venire avrebbero
potuto degnamente valutare”), non lo porterà a rinnegare mai fino al termine
della guerra la sua adesione al partito nazista e non pronuncerà mai - neanche
dopo l’ampia documentazione e le testimonianze dirette delle vittime (si pensi,
anche solo, al Diario di Anna Frank o ai libri di Primo Levi, o, ancor di più,
al processo ad Eichmann), una condanna dei crimini commessi dal nazismo,
nonostante i pressanti inviti del poeta Celan e di filosofi amici prestigiosi
(ad esempio, Jaspers e Marcuse).
La Di Cesare mette in rilievo, attraverso varie
citazioni, tratte in particolare dai Quaderni Neri inquadrate nel relativo
contesto, come il pensiero di Heidegger risulti inestricabilmente collegato
alla dimensione politica; è Heidegger stesso che rileva che il punto di
partenza della filosofia è l’esperienza effettiva della vita (pag. 8). Con la
cosiddetta “svolta”, H. sposta l’attenzione dall’uomo (“esserci”), colto nella
sua esistenza storica, alla storia dell’Essere. Nella sua visione risulta che,
nell’età della metafisica - che va dall’origine del pensiero greco (dopo
Parmenide) fino ai suoi tempi-, non solo ci si è dimenticati dell’Essere, ma lo
si è anche abbandonato e l’Essere stesso si è sottratto all’uomo. Questo oblio
e ritrarsi dell’Essere ha avuto come fase culminante l’età moderna, coincidente
con la nascita della scienza, lo sviluppo della tecnica, l’industrializzazione,
che si fondano sul pensiero calcolante e che hanno dato vita ad un processo che
viene denominato “macchinazione”. Artefici principali della “macchinazione”, il
cui esito finale è una desertificazione dove non cresce più nulla, risultano
essere il mondo anglo-americano e il bolscevismo, che sono strettamente
legati all’ebraismo (pag. 203). In H. tutta la modernità, compresa la
democrazia, viene considerata negativamente.
L’antisemitismo di H. non si basa, come nel caso
della concezione ufficiale del nazismo, su un razzismo di matrice biologica, ma
ha una connotazione metafisica (pag. 101): gli ebrei occupano un ruolo
importante, decisivo nell’affermazione della “macchinazione” e quindi
nell’allontanamento dell’uomo dall’Essere (pag. 207 e segg).
H. assegna ai tedeschi la missione di contrastare tale
“macchinazione e vede nella seconda guerra mondiale una guerra dell’Essere
contro il predominio, attribuito in particolare agli ebrei, dell’ente (umanità)
a scapito dell’Essere; l’ebraismo infatti è penetrato ovunque, anche se in modo
impercettibile, e non ha bisogno di intraprendere azioni belliche “mentre a noi
– scrive H. nel 1941 – non resta che sacrificare il miglior sangue dei migliori
del nostro popolo” (pag. 194).
Terminata la guerra, H. intensifica le sue
riflessioni sulla tecnica, considerata una minaccia per l’uomo e per la
natura. In una conferenza del 1949, tenuta a Brema, intitolata Il dispositivo,
considera l’industria alimentare meccanizzata, ossia l’agricoltura moderna,
alla stessa stregua della fabbricazione di cadaveri nelle camere a gas (pag.
236). Nell’ambito della storia dell’Essere le differenze che esistono nella
realtà non hanno importanza: lo sterminio è un avvenimento come un altro e le
grida disperate delle vittime dello sterminio non vengono neppure ascoltate.
In questa ottica, la Shoah si configura come la
conseguenza del “dispositivo”, ossia della tecnica (pag. 246), ma, in questo
contesto, dove vanno a finire le responsabilità? Come è possibile che un intellettuale
del suo calibro, che ha esercitato (e continua ad esercitare) un’influenza
rilevante nella filosofia contemporanea, perlomeno in quella denominata
“continentale”, sia giunto a simili concezioni? D. Di Cesare, nonostante le
analisi e le interpretazioni fortemente critiche, considera Heidegger un grande pensatore.
Prossimamente, al festival della filosofia di Modena, terrà una lezione su Essere e tempo. Sono curioso di ascoltarla e capire come mai, nonostante
tutto, valga la pena di leggere Heidegger.
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