venerdì 28 agosto 2015

I “QUADERNI NERI” DI MARTIN HEIDEGGER

(a proposito del libro di Donatella Di Cesare, Heidegger e gli ebrei. I "Quaderni neri", Bollati Boringhieri, 2015)

Nel mese di maggio, al Salone internazionale del libro di Torino, ho avuto occasione di ascoltare Donatella Di Cesare che ha parlato del filosofo Martin Heidegger, del quale sono stati pubblicati in Germania lo scorso anno i Quaderni neri, che dovrebbero in autunno uscire anche nella traduzione italiana. Mi ha colpito il fatto che fosse scortata da due guardie del corpo che facevano barriera tra lei e il pubblico. Nel mese di luglio avrebbe dovuto parlare anche presso il castello di Iseo, appuntamento al quale mi sono presentato, ma, con rammarico, ho scoperto che la relatrice aveva dato forfait per motivi di sicurezza. Ricercando in Internet le ragioni di tali misure, sono venuto a sapere che le sue prese di posizione, avvenute fra l’altro tramite vari interventi pubblicati sull’inserto “La lettura” del Corriere della sera domenicale e, soprattutto, attraverso il libro scritto per la Bollati Boringhieri, intitolato Heidegger e gli ebrei. I "Quaderni neri”, è stata presa di mira da esponenti di estrema destra e sottoposta a minacce. Va ricordato, inoltre, che D. Di Cesare, che insegna Filosofia teoretica alla Sapienza di Roma, è stata allieva di H. G. Gadamer, allievo a sua volta di M. Heidegger; si occupa di filosofia ebraica, su cui ha scritto vari volumi; recentemente, esattamente all’inizio di quest’anno, si è dimessa da vicepresidente della “Martin Heidegger-Gesellschaft“, istituzione che si occupa della valorizzazione del pensiero di Heidegger, in seguito alle posizioni di chiusura assunte dal suo comitato direttivo dopo la pubblicazione dei Quaderni Neri e le polemiche che sono scaturite.

D. Di Cesare, come spiega nel suo libro dedicato ai Quaderni neri, rifiuta sia la posizione di chi liquida Heidegger in quanto considera il suo pensiero (sia quello espresso in Essere e tempo sia quello successivo alla cosiddetta “svolta”) intrinsecamente reazionario (come Adorno e, più recentemente, Farìas e Faye), sia quella di chi vorrebbe addomesticarlo, considerando la sua adesione al nazismo e scritti come i “Quaderni Neri” rispettivamente come una parentesi e un’opera marginale, che non inciderebbero sulla sostanza del suo pensiero.

Né accetta l’interpretazione di H. Arendt che lo considera incompetente da un punto di vista politico e, di conseguenza, separa la sua adesione al nazismo dalla sua opera filosofica. Viceversa i Quaderni neri evidenziano come la posizione politica di H., che, pur avendo un suo sviluppo interno (dall’illusione di poter divenire la guida spirituale del nazismo è passato ad un certo distacco dalla linea tecnicistica assunta via via dal nazionalsocialismo; non si tratta, comunque, di un vero e radicale strappo, se ancora nel 1941 elogia il discorso di Hitler del 22 giugno 1941 col quale annuncia l’attacco all’Urss, un documento che “i tempi a venire avrebbero potuto degnamente valutare”), non lo porterà a rinnegare mai fino al termine della guerra la sua adesione al partito nazista e non pronuncerà mai - neanche dopo l’ampia documentazione e le testimonianze dirette delle vittime (si pensi, anche solo, al Diario di Anna Frank o ai libri di Primo Levi, o, ancor di più, al processo ad Eichmann), una condanna dei crimini commessi dal nazismo, nonostante i pressanti inviti del poeta Celan e di filosofi amici prestigiosi (ad esempio, Jaspers e Marcuse).

La Di Cesare mette in rilievo, attraverso varie citazioni, tratte in particolare dai Quaderni Neri inquadrate nel relativo contesto, come il pensiero di Heidegger risulti inestricabilmente collegato alla dimensione politica; è Heidegger stesso che rileva che il punto di partenza della filosofia è l’esperienza effettiva della vita (pag. 8). Con la cosiddetta “svolta”, H. sposta l’attenzione dall’uomo (“esserci”), colto nella sua esistenza storica, alla storia dell’Essere. Nella sua visione risulta che, nell’età della metafisica - che va dall’origine del pensiero greco (dopo Parmenide) fino ai suoi tempi-, non solo ci si è dimenticati dell’Essere, ma lo si è anche abbandonato e l’Essere stesso si è sottratto all’uomo. Questo oblio e ritrarsi dell’Essere ha avuto come fase culminante l’età moderna, coincidente con la nascita della scienza, lo sviluppo della tecnica, l’industrializzazione, che si fondano sul pensiero calcolante e che hanno dato vita ad un processo che viene denominato “macchinazione”. Artefici principali della “macchinazione”, il cui esito finale è una desertificazione dove non cresce più nulla, risultano essere il mondo anglo-americano e il bolscevismo, che sono strettamente legati all’ebraismo (pag. 203). In H. tutta la modernità, compresa la democrazia, viene considerata negativamente.

L’antisemitismo di H. non si basa, come nel caso della concezione ufficiale del nazismo, su un razzismo di matrice biologica, ma ha una connotazione metafisica (pag. 101): gli ebrei occupano un ruolo importante, decisivo nell’affermazione della “macchinazione” e quindi nell’allontanamento dell’uomo dall’Essere (pag. 207 e segg).

H. assegna ai tedeschi la missione di contrastare tale “macchinazione e vede nella seconda guerra mondiale una guerra dell’Essere contro il predominio, attribuito in particolare agli ebrei, dell’ente (umanità) a scapito dell’Essere; l’ebraismo infatti è penetrato ovunque, anche se in modo impercettibile, e non ha bisogno di intraprendere azioni belliche “mentre a noi – scrive H. nel 1941 – non resta che sacrificare il miglior sangue dei migliori del nostro popolo” (pag. 194).

Terminata la guerra, H. intensifica le sue riflessioni sulla tecnica, considerata una minaccia per l’uomo e per la natura. In una conferenza del 1949, tenuta a Brema, intitolata Il dispositivo, considera l’industria alimentare meccanizzata, ossia l’agricoltura moderna, alla stessa stregua della fabbricazione di cadaveri nelle camere a gas (pag. 236). Nell’ambito della storia dell’Essere le differenze che esistono nella realtà non hanno importanza: lo sterminio è un avvenimento come un altro e le grida disperate delle vittime dello sterminio non vengono neppure ascoltate.

In questa ottica, la Shoah si configura come la conseguenza del “dispositivo”, ossia della tecnica (pag. 246), ma, in questo contesto, dove vanno a finire le responsabilità? Come è possibile che un intellettuale del suo calibro, che ha esercitato (e continua ad esercitare) un’influenza rilevante nella filosofia contemporanea, perlomeno in quella denominata “continentale”, sia giunto a simili concezioni? D. Di Cesare, nonostante le analisi e le interpretazioni fortemente critiche, considera Heidegger un grande pensatore. Prossimamente, al festival della filosofia di Modena, terrà una lezione su Essere e tempo. Sono curioso di ascoltarla e capire come mai, nonostante tutto, valga la pena di leggere Heidegger.



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